Il "Presidentissimo"

GIULIO CAMPANATI

“Un lungo cammino accompagnato da valori illuminanti”
Settant’anni nel nome del primo Presidente

...su un campo della periferia milanese, il campo della Ricciarelli in terra battuta, nel fango dopo giorni di pioggia. La partita stava per finire sul 3 a 0 ed un dirigente della squadra che stava perdendo, lamentando l’impraticabilità del campo, pensò bene di ritirare la squadra.

Ben più drammatico quanto accadde l’8 settembre 1943: la Radio Italiana trasmise il messaggio del maresciallo Badoglio, l’Italia aveva chiesto l’armistizio, ma la guerra invece continuava.

Il 9 settembre in sella alla mia bici, con uno zaino in spalla, lasciai Milano verso il Lago Maggiore, per poi da lì raggiungere la Svizzera, dove rimasi per un po' di tempo, fino a quando decisi di tornare a Milano, attraverso i sentieri del confine tra l’Italia e la Svizzera dove alcune persone accompagnavano gli ebrei per metterli in salvo dai rastrellamenti, decidendo di fare il percorso al contrario.

Tra i tanti ricordo sempre Giovanni Mauro a cui mi legano tanti ricordi: in un cassetto del comodino, a fianco al mio letto, conservo un prezioso orologio che Mauro mi consegnò come dono al termine della partita di finale da me diretta del Trofeo Scarioni del 1948; un Torneo di calcio riservato alle squadre “juniores” ed in quella finale arbitrai l’Inter contro il Torino (nello stesso mese nella tragedia di Superga finiva la storia del “Grande Torino” e fu proprio la squadra juniores che io avevo arbitrato a dover concludere il campionato di serie A).

In questa mia esperienza di arbitro, mi resi conto ben presto che era molto importante la collaborazione di quelli che allora erano chiamati “i guardalinee”; non c’era un gruppo di colleghi specializzati in questa funzione, ma venivo affiancato di volta in volta da colleghi arbitri. Chiesi di potermi avvalere di qualche collega della mia Sezione e così nacque di fatto una “terna fissa” di cui facevano parte, di volta in volta, Ugo Grechi, Ultimo Tonolini e Mario Turri.

Nel 1966 mentre stavo arbitrando ai massimi livelli, presi la decisione insolita di smettere di arbitrare, un po’ per il lavoro ed un po’ per la famiglia perché mia moglie Giuliana lamentava quel mio viaggiare in continuazione, per lavoro e per arbitrare.

Artemio Franchi, un amico, già segretario della sezione AIA di Firenze e vicepresidente della Federazione, mi telefonò per chiedere una spiegazione, facendomi notare che non era mai successo che un arbitro internazionale decidesse spontaneamente di lasciare nel pieno dell’attività: infatti in quel momento avevo 42 anni e come internazionale potevo arbitrare fino a 50.

Franchi ritenne utile la mia esperienza e mi impegnò di nuovo, subito, come dirigente dell’Associazione. Venni nominato Vicepresidente dell’AIA. Il Presidente era il conte Saverio Giulini, anche lui della Sezione Umberto Meazza, ed assieme a lui mettemmo a punto e realizzammo una svolta nella vita dell’Associazione: per evitare una consuetudine che, attraverso le elezioni, portava ad affidare ad alcuni personaggi “influenti” ruoli e responsabilità per cui spesso non erano preparati tecnicamente si decise che il Presidente di Sezione, oltre al compito associativo dovesse avere quello tecnico e quindi designare per due anni gli arbitri appena nominati per le partite dei ragazzi in modo da farli seguire e consigliare da colleghi anziani della Sezione.

Con questa decisione tecnica presa allora venivano eliminate le elezioni ed i Presidenti di Sezione venivano scelti dai Comitati regionali. Ciascun Presidente di Sezione però, ogni due anni, doveva presentare una relazione morale e finanziaria sulle attività svolte che, ove non fosse stata approvata, avrebbe portato obbligatoriamente alla nomina di un nuovo presidente di Sezione.

Dal 1968 al 1972 assunsi l’incarico di designatore responsabile della CAN ABC con i colleghi Adami e Ferrari Aggradi.

A quel periodo si legano tra l’altro i miei ricordi di un giornalista molto sagace e curioso che, per un paio di stagioni, riuscì ad anticipare sul suo giornale quasi tutte le designazioni che facevamo per la serie A (il giornalista molto curioso era un certo Mario Pennacchia!).

A mio avviso, vi è una grande differenza tra il passato e l’oggi: gli arbitri si consideravano come dei gentleman, degli appassionati del gioco del calcio ed interpretavano il loro ruolo mantenendo le distanze, con i giocatori e con i dirigenti delle squadre. Anche in passato l’arbitro poteva fare degli errori, come tutti i protagonisti di una partita, ma i giocatori si guardavano bene dal circondarlo con continue proteste. Oggi i tempi sono cambiati, anche perché la televisione con le sue decine di telecamere coglie ogni dettaglio almeno sui campi della serie A e della serie B, addirittura consente di leggere ogni frase che viene pronunciata mentre l’arbitro ha sempre una sola prospettiva di visione. Dagli anni novanta il gioco è divenuto molto più veloce e così anche gli arbitri si sono adeguatamente migliorando sotto il profilo atletico.

Ma ieri come oggi l’arbitro emerge soltanto grazie alla sua capacità tecnica ed atletica: non è la Sezione di provenienza o la vicinanza o meno a personaggi influenti a determinare il suo successo, ma la sua capacità sul campo di gioco. Il direttore di gara deve essere ben preparato per garantire qualità ed essere all’altezza del compito affidato. I calciatori, dal canto loro, dovrebbero sul campo dimostrare sempre lealtà e fair play, senza cadere nel vittimismo, che è diventata quasi una delle loro tattiche di gioco.

E’ difficile, se non impossibile, riassumere in qualche pagina settant’anni di vita, di un impegno prima sui campi di gioco come arbitro e poi come dirigente in tanti ruoli in cui ero e sono consapevole che, con lo spirito di servizio, la prima responsabilità di un qualsiasi dirigente è quella di preparare e di guidare altri colleghi a divenire dirigenti per far crescere la nostra Associazione attraverso l’insegnamento, di generazione in generazione, con spirito di sacrificio, nell’AIA, come in qualsiasi attività di carattere professionale, nel mondo del lavoro, nella famiglia.

Questi sono stati alcuni dei ricordi e momenti trascorsi del mio cammino nell’AIA, in cui ho conosciuto e lavorato con centinaia e centinaia di colleghi, e sono grato a tutti i dirigenti che hanno operato con me, tutti guidati dagli stessi valori di amicizia, di lealtà e di determinazione che, sono sicuro, accompagneranno la nostra Associazione nel suo futuro che auguro pieno di soddisfazioni.

Giulio Campanati